Potevano essere due vite diverse, le loro. Anzi, già lo erano, dopo studi importanti, incarichi professionali in altri ambiti «perché nostro papà ci aveva sempre cresciuto con l’idea che non saremmo dovute andare a lavorare nella sua azienda, non voleva farcelo sentire come obbligo, ce l’aveva quasi proibito. Nella nostra testa non si era mai fatto strada questo obiettivo». E invece… E invece a un certo punto è scattato qualcosa. Un richiamo, quasi un imprinting nascosto che si è disvelato: «L’idea di tornare al rapporto con la terra, essere partecipi della passione che c’è dietro, dei legami che crea, dei momenti di condivisione che sollecita. Quando apri una bottiglia pensi alle persone che hanno curato quelle uve, a chi le ha vendemmiate… E pensi al territorio stesso, ai grappoli nati dagli sforzi dei tuoi genitori, dei nonni, di generazione in generazione. Quei i vigneti sono figli loro quanto lo siamo noi». Insomma «all’improvviso abbiamo visto tutto più chiaro». E la loro vita è cambiata.

Ecco: papà Valentino Sciotti (vi abbiamo parlato di lui in questo articolo), creatore e amministratore delegato di Fantini Wines, non aveva voluto imporre alle sue due figlie, Giulia e Alessia, di lavorare con lui in azienda, una realtà vitivinicola fondata a Ortona nel 1994 e diventata leader tra quelle esportatrici nel Sud Italia, grazie a un’attenta politica votata alla più alta ricerca qualitativa e di marketing. Eppure oggi Giulia e Alessia sono al suo fianco, felici: come se un impulso profondo, diremmo ancestrale e radicato nelle profondità della loro essenza avesse alla fine preso il sopravvento e le avesse ricondotte nel luogo dove erano sempre state, con l’anima, e in fondo le stava attendendo. Giulia e Alessia: a sentirle parlare sembra non potesse esserci altro nel loro destino, se non la viticoltura, tali sono l’entusiasmo e il trasporto con le quali ne raccontano. Giulia e Alessia: la prima, classe 1991, si era laureata in Economia e Direzione di impresa a Roma, viveva a Barcellona dove lavorava come analista finanziaria per una multinazionale, la Hewlett-Packard, «passavo giorno e notte davanti al computer a controllare numeri, a visionare bilanci»; la seconda, classe 1995, aveva completato i corsi da interior designer allo Ied di Milano e iniziato l’attività professionale in un avviato studio di architettura a Pescara, «poi il Covid mi ha riportato a Crecchio», paesino abruzzese che è per gli Sciotti un po’ quello che rappresenta la Casa del Nespolo di Aci Trezza in Verga o la Macondo dell’Aureliano Buendía in Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez: un simbolo di legame con gli avi e con la terra stessa.

In tempi diversi, prima Giulia e poi Alessia, han percepito il richiamo dei mosti. Che bella storia!

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Giulia, intanto. «Il mio incontro col mondo del vino è nato da un innamoramento». Scena: viaggio in Cile nella Pasqua del 2017 con tutta la famiglia Sciotti, «io, neolaureata, avevo preso a lavorare in Spagna in Hp». Papà Valentino ha nel Paese sudamericano un caro amico, proprietario di una bellissima cantina vitivinicola, così due generazioni di Sciotti si ritrovano nella Valle dell’Elqui, a Nord di Santiago, luogo remoto nel cuore delle Ande: paesaggi montuosi, cieli limpidi, tanti vigneti di uva utilizzata anche per produrre il pisco.

Ce l’immaginiamo Giulia, strappata per qualche giorno dalla sua vita digitale e iperconnessa, in questo angolo di mondo sperduto e incredibile: «Mi è scattato qualcosa. Mi son detta: “Forse quello che faccio ora non è quello che voglio fare davvero”. Ho lasciato il lavoro a Barcellona e mi sono trasferita in Bordeaux per un master in Marketing del vino, poi ho seguito altri studi e ottenuto certificazioni importanti nel settore. Mi aveva affascinato la passione con la quale ogni produttore mi aveva parlato della propria realtà, la storia che c’era dietro». Era insomma scoccata la scintilla, «poi ho capito che era semplicemente latente, perché tutti noi fratelli siamo nati nel mondo del vino, i nostri nonni possedevano un po’ di vigneti, producevano per l’autoconsumo e poi vendevano le bottiglia rimaste ad amici e parenti. Mi vengono in mente memorie del lontano passato, quando durante la vendemmia noi Sciotti della nuova generazione eravamo là a Crecchio, il nostro paesino d’origine vicino a Ortona: nonno utilizzava ancora il torchio…».

Dopo Giulia, anche Alessia, la minore dei tre fratelli Sciotti (Nico, l’unico maschio, lui ha scelto di seguire il progetto di Borgo Baccile, accogliente resort by Fantini ottenuto dal restauro delle antiche case in pietra di Crecchio). Alessia, dunque: «Ho studiato allo Ied, con stage anche in America e Francia. Ora sono iscritta a Economia e Management a Pescara», ma intanto pure lei ha sentito il richiamo di Fantini. Non nel 2017, come Giulia, ma qualche anno dopo, nel 2020: «Il Covid arriva in Italia, papà ha l’idea di portarci con lui a Miami, dove l’azienda ha una base, così da poter continuare a lavorare, negli Stati Uniti la situazione sembrava sotto controllo. Arriviamo in Florida, dopo quattro giorni l’allora presidente Trump annuncia l’imminente chiusura dei confini, insomma i nostri piani vanno in fumo. Precipitosamente compriamo i biglietti aerei per tornare in Italia, una volta atterrati scegliamo di non rientrare in famiglia – eravamo rimasti troppo esposti ai rischi del virus – ma di isolarci a Crecchio. Insieme: io e papà». La scintilla nasce dall’isolamento: «Io amo cucinare piatti particolari, e in quei frangenti avevo tutto il tempo per farlo. Papà, tra un webinar e l’altro, mi insegnava ad abbinare i vini giusti, mi raccontava il suo mondo, ossia faceva tutto quello che normalmente non avrebbe potuto, lui che in genere è in viaggio per 300 giorni l’anno. Ci siamo riappropriati del tempo e delle cose. Ho capito che nel vino senti il territorio: è il sangue della terra».

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Oggi Alessia, mettendo a frutto i suoi studi, cura il design di Fantini ed è diventata ambassador del brand, «inizialmente ho dato una mano per il nuovo allestimento della sede di imbottigliamento a Ortona. Poi per la rinnovata visual identity degli stand aziendali nelle grandi fiere del comparto, dal ProWein al Vinitaly. Ora appunto sono diventata brand ambassador, mi mandano in tutto il mondo e mi piace tantissimo, adoro promuovere all’estero non solo la nostra realtà, ma la terra della quale è espressione e in generale lo stile di vita italiano». Elenca le sue prossime trasferte: «Canada, Costa Rica, poi il Vinitaly Usa a Chicago, quindi il Tennessee per un affiancamento al nostro importatore, da lì scenderò in Messico e poi risalirò in Canada». Ci sarà anche Giulia? «No, lei ha rallentato con i viaggi per via del bambino», l’ulteriore generazione Sciotti, ha un anno e 6 mesi e si chiama Valentino come il nonno.

Quindi Giulia adesso è a tempo pieno marketing manager di Fantini, oltre che mamma. Ci racconta: «Mi piace pensare che il mondo del vino si sta sempre più aprendo a noi donne. Tanti segnali lo confermano». Ma ci può essere un tocco, un possibile approccio femminile al settore, ossia un’abilità particolare e specifica? «Credo di sì, in fondo è la storia del nostro Calalenta, un successo incredibile per un vino rosato in stile provenzale che ho pensato da donna per le donne, quando studiavo a Bordeaux mi ero accorta che un rosa scarico, pallido, e che richiamasse queste caratteristiche anche al palato, potesse piacere di più rispetto ai rosati italiani che erano tutti così ricchi di colore». Ma non solo: «Il “tocco” del quale parliamo ci può essere nello stile delle etichette, credo di aver portato in azienda una maggiore attenzione all’estro, all’eleganza. In generale noi, per la gestione dei social media di Fantini, abbiamo costruito un magnifico team di sole donne. E sono bravissime».

Pensiero finale di Giulia e Alessia: «Sapete cosa abbiamo notato, lavorando tantissimo insieme? Che, donna o non donna, l’idea di una famiglia vinicola, ossia di un’azienda che è gestita con amore da persone che hanno legami di sangue tra di loro e con la loro terra, diventa un valore aggiunto che viene apprezzato ovunque. Poi, noi due siamo anche molto empatiche», sorridono l’un l’altra. Fanno gioco di squadra, le sorelle Sciotti.

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